Le criptovalute rappresentano un’innovazione tecnologica di sicuro rilievo e, in quanto tale, si sono inserite in un contesto di vuoto normativo. Anche dal punto di vista tributario e fiscale non esistono in Italia riferimenti normativi dedicati. Nel corso degli anni sono giunti via via chiarimenti attraverso ciò che emerge dalla giurisprudenza e attraverso le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate.
In tale contesto, quindi, riferimento primario è rappresentato dalla Risoluzione n. 72/E dell’Agenzia delle Entrate del 16.09.2016. La Risoluzione, oltre a fornire la definizione di criptovalute e a sintetizzare i meccanismi di funzionamento delle criptovalute, sottolinea le 2 caratteristiche principali delle criptovalute:
- hanno natura digitale e vengono create, memorizzate ed utilizzate su dispositivi elettronici e sono liberamente accessibili e trasferibili dal titolare senza che intervengano soggetti terzi;
- il loro funzionamento è basato sull’uso di codici crittografici e sulla tecnologia blockchain.
Fondamentalmente le criptovalute possono essere utilizzate con 2 diverse finalità:
- come strumento di pagamento per regolare gli scambi;
- come strumento di investimento.
Nel presente articolo ci vogliamo soffermare sulle attività svolte da un soggetto privato e non considerando gli aspetti riferiti ai soggetti che operano nell’ambito di attività professionale.
Sulla base degli orientamenti emersi, le cessioni di criptovalute debbono essere assimilate alle cessioni di valute estere, e sono quindi disciplinate dall’art. 67, c. 1, lett. c-ter) del Testo Unico delle Imposte sui redditi (TUIR).
Pertanto, le cessioni a pronti di criptovalute, e i relativi prelievi, sono considerate imponibili nei casi in cui la giacenza del portafoglio sia superiore a € 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continuativi e sono soggette ad imposta sostitutiva del 26%, liquidata nel quadro RT del modello redditi delle persone fisiche.
L’Agenzia delle Entrate ha preso in considerazione anche la cosiddetta attività di staking. Senza entrare nei tecnicismi, con tale attività un individuo ha la possibilità di mettere a disposizione le proprie criptovalute, ad un “nodo validatore”, ottenendo come ricompensa delle criptovalute. Secondo l’Agenzia delle Entrate, la remunerazione derivante da tale attività, rappresentata da remunerazioni in criptovaluta percepite dalle persone fisiche, è riconducibile alle previsioni dall’art. 44, c. 1, lett. h) del TUIR. Sono quindi da considerarsi redditi di capitale e, pertanto, se accreditate da una società italiana, quest’ultima è tenuta ad applicare una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26%.
Occorre precisare che le criptovalute detenute in portafogli attraverso intermediari non residenti sono anche oggetto di monitoraggio fiscale attraverso la compilazione del quadro RW del modello Redditi persone fisiche, in quanto sono considerate attività finanziarie. Le criptovalute non sono tuttavia soggette all’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero).
ATTENZIONE:
Il consiglio quindi per chi opera in criptovalute, anche in considerazione della continua evoluzione degli aspetti tecnologici e degli aspetti fiscali, è quello di informare il consulente che lo assiste nella predisposizione della dichiarazione dei redditi, per evitare future contestazioni e future sanzioni.